Filastrocca della Sorpresa

Un sorriso sulle guance
Quanto manca? Quanto manca?
L’ora è lenta ed io son stanca.
È curioso, un curiosone:
il mio cuore fa il birbone!
Se gli dici “Aspetta un poco”,
lui risponde “Non ci gioco”.
Ha le antenne all'insù
vuol sapere ancor di più.
È arrivata una notizia
“Dai, ti prego, dilla in piazza!”
Un pacchetto, un regalino,
il ripieno del panino.
Gran sorprese tutte quelle,
non sto più nella mia pelle!
Sì, lo so che sei impaziente
è una cosa sorprendente!

 

 Sorpresa

C’era una volta… SORPRESA

Ovvero, quando un parco cittadino annoiato si rianimò

Le panchine all’ombra erano per gli anziani, i vialetti pedonali per i genitori col passeggino, il campo sportivo per i più grandi, l’area giochi per i più piccoli: al parco ognuno aveva il proprio posto. E guai a scambiarseli! Erano così fissi, che quasi non c’era più gusto, si sapeva già tutto a memoria. Alle quattro e trenta arrivava Maria, alle quattro e trentadue Gianni, alle quattro e trentacinque Giancarla e Giancarlo, e alle quattro e trentasei Gianmaria. Ci volevano centocinquantacinque passi per raggiungere lo scivolo dal cancelletto di ingresso, ottantatre per la fontana partendo dallo scivolo, cinquantasette per buttare una cartaccia nel cestino dell’immondizia, una volta scesi dalla giostrina che gira.

Ogni pomeriggio al parco si ripetevano gli stessi gesti, come un rito, in cui non succedeva mai nulla di nuovo. Tutti i giochi erano stati provati, tutte le squadre erano state composte, tutti i vialetti erano stati percorsi e tutte le chiacchiere erano state chiacchierate. Non c’era più niente da dirsi, niente da scoprire, niente da vedere, niente per cui ridere, o discutete, o divertirsi. Se, ad esempio, foste arrivati oggi pomeriggio, avreste visto gli anziani sulle panchine all’ombra, i genitori col passeggino lungo i vialetti pedonali, i più grandi al campo sportivo, i più piccoli nell’area giochi. E se, per caso, decideste di tornare anche domani, trovereste gli anziani seduti sulle panchine all’ombra, i genitori col passeggino lungo i vialetti pedonali, i più grandi al campo sportivo, i più piccoli nell’area giochi. Perché ognuno, al parco, aveva il proprio posto. E guai a scambiarseli! Ogni pomeriggio gli stessi gesti, non succedeva mai nulla di nuovo.

C’era un uccellino che aveva deciso di fare il nido in mezzo ai rami di tiglio; si era stufato persino lui di vedere sotto di sé la medesima scena, a volte gli veniva il dubbio di trovarsi dentro un quadro. «Certo che qui non succede mai niente di niente, eh Osvaldo?» chiese Evelina sbuffando verso l’altro nonno seduto accanto a lei. «Secondo te è così anche negli altri parchi?» domandò Giuliano all’amica Susanna, mentre cercavano entrambi di far addormentare i rispettivi bimbi nel passeggino. Ma perché interrogarsi? Tanto il giorno seguente non sarebbe stato diverso né da quello precedente, né da quello successivo. Si sapeva che la squadra blu avrebbe vinto la partita al campo sportivo, che Gianni si sarebbe sbucciato il ginocchio, che Maria avrebbe portato i pattini, che Gianmaria avrebbe fatto quattro giri sullo scivolo, che il vigile avrebbe multato il motorino che sarebbe passato alle quattro e quarantasei superando di un chilometro all’ora il limite di velocità consentito. A quel punto, sempre il vigile urbano, lo stesso tutti i giorni, avrebbe rimproverato il giovane alla guida, uno di quei ragazzi più grandi che fino all’anno prima era al campo sportivo.

Perché non è che il tempo non passasse nel parco, è che, se non fosse stato per la data indicata dal calendario, non sarebbe stato possibile distinguere un giorno dall’altro. Egidio, il bimbo di Giuliano, si svegliava dal sonnellino alle quattro meno cinque, mentre Maia, la bimba di Susanna, due minuti dopo. Una volta aperti gli occhietti, però, Maia ed Egidio non capivano se stessero ancora sognando: di fronte a loro si era fermato un chioschetto di gelati a strisce rosa e bianche. Una folla incredula si era radunata lì davanti, l’intero parco era in silenzio, in attesa di un segnale che arrivò poco dopo: «Salve, gente! Ecco i gelati di Sorpresa, che sarei io, a sorpresa! Funziona così: voi scegliete se cono o coppetta, e io scelgo i gusti!». Si formò una fila ordinata, sebbene le persone si guardassero l’un l’altra con aria smarrita. Radunavano le monete necessarie a pagare il proprio cono o la propria coppetta, senza sapere bene che fare, quel fuori programma non era previsto.

Sorpresa, invece, era un fulmine, col suo grembiule sgargiante procedeva senza esitazioni, sistemando palline di gelato con una sicurezza e una rapidità che lasciava sbigottiti: «Per te, papaia notturna con gocce di cioccolato bianco. Per te, fiori di campo e cocco. Sciroppo nocciolato per la signora, ibisco vanigliato per il nipote. Qui mettiamo crema al caramello di pistacchio e granella di amarene, e qui rabarbaro speziato e cappuccino». Il gelato era delizioso, c’era chi si stava già mettendo in coda per la seconda volta. Un chiacchiericcio animava il parco: «Che gusto ha il tuo gelato?», «Ti prego, fammelo assaggiare!», «Speriamo che Sorpresa torni anche domani col suo chioschetto!» si sentiva dire con aria esultante.

Sopra alle loro teste, un guscio d’uovo fece crack e un pulcino spuntò nel nido in mezzo ai rami di tiglio. Era una festa! I più piccoli iniziarono un torneo nel campo sportivo, i più grandi passeggiavano lungo i vialetti pedonali, tra scherzi e risate. I genitori avevano lasciato i passeggini in disparte e si erano messi all’ombra, chi sulle panchine e chi con un telo sul prato, e i bimbi gattonavano liberi e battevano le manine. «E gli anziani?» direte voi. Beh, non ci crederete, ma erano tutti sullo scivolo! E a chi li implorava di scendere, preoccupato, rispondevano: «Ce l’ha insegnato Sorpresa: per divertirsi, bisogna buttarsi!»