Mi piace pensare che quando un neonato viene al mondo, l’uomo che lo ha generato non cambi, semplicemente sposti il suo sguardo da se stesso e abbandoni una prospettiva autoriferita per proteggere suo figlio. Un padre deve essere questo e solamente questo, uno scudo e un’apertura verso la realtà. Perché di mamma ce n'è una sola, ma anche di papà.
 
La presenza o l’assenza di un padre forgiano l’essere di un figlio per sempre, il suo modo di essere sarà l’eredità terrena su cui costruire nuove generazioni. Diciamocelo, un fardello pesante da portare. Molti papà non realizzano subito l’importanza del loro essere, persi tra pannolini e poppate, spesso esclusi da un rapporto esclusivo madre-figlio che non sembra lasciare loro spazi di manovra. Poi piano piano trovano un’occasione di tenere in braccio il proprio neonato, di portarlo in fascia, di passeggiare con lui da soli. Lentamente si costruiscono momenti di paternità che li rendono orgogliosi e li riportano alle origini dell’umanità: vestiti solamente dell’istinto di protezione virile verso la propria prole. Un’emozione primitiva ma potente, la radice della paternità.
 
Quando nasce un papà? Considerando che ciascuno di loro porta con sé l’eredità di un altro padre, di altri padri in una catena infinita di esperienze passate... Difficile stabilirlo, ma quel momento arriva per tutti.
 
Per esempio, il mio compagno è diventato padre dei nostri 3 figli in momenti diversi. Per i gemelli è stato subito una presenza solida e sicura, perché è stato lui ad accompagnarli in terapia intensiva neonatale mentre io ero ancora in clinica dall’altra parte della città, è stato lui per giorni l’unica famiglia accanto a loro, lui il corriere del latte della mamma, lui la mano tenera che dava loro il biberon, lui è stato padre prima che io fossi madre dei due cuccioli prematuri. Per il terzo è stato molto diverso. È nato in serenità, cullato fin da subito dalla sua mamma, accudito e coccolato da molti, sono passati mesi prima che veramente i due creassero un legame tutto loro: quando il piccolo ha afferrato il primo mattoncino per costruire e insieme hanno costruito una semicolonna. E naturalmente oggi è papà, anzi babbo di tutti e tre. L’uomo che era c’è ancora e spesso rivendica i suoi spazi, insegnando anche a me che il proprio tempo ha valore. Il cambiamento è nell’essenza della persona, non sono più figli, non sono più mamma-dipendenti, sono padri.
 
Non è mai cosi lineare, molti uomini si rifiutano di aiutare all’inizio, magari convinti dal loro passato che bisogna essere autoritari e distanti, per poi sciogliersi al primo “Papà” pronunciato dai nani a gattoni. Altri, davanti ad esterni sono orgogliosi di tenere il neonato come un trofeo e a casa lo lasciano alle cure materne mentre loro vanno a giocare a calcetto. Altri invece sono mammi, accudenti e teneroni, in concorrenza con la mamma, per paura di un ruolo troppo autoritario. Altri oscillano tra esserci troppo e non esserci mai solo perché hanno le idee ancora confuse. Alcuni, poi, non saranno mai padri, per scelta o per paura.
 
L’importante è lo scoccare della scintilla, l’inizio di un cammino, spesso facilitato da noi mamme e compagne, poi la strada va avanti. L’importante è non dimenticare mai che ciascun uomo cambia nel padre migliore che può essere. Non esistono ricette, non esistono libri o manuali. La realtà di un padre è difficile, impervia e spesso va fuoristrada. La loro umanità, la loro forza e la loro debolezza è l’insegnamento più grande che danno ai nostri figli. E non è semplice.
 
Buona festa del Papà a tutti gli uomini impegnati in questo cammino. Diamogli la mano. Sono padri del futuro che stiamo costruendo.

 

 


 

Arianna Orazi

 

Arianna, blogger e zingara senza scarpe, madre di Tommaso e Flavia, gemelli di 7 anni, e di Lorenzo (detto "Nanuzz"), di 2 anni. Bilingue, trimamma, monogama ed eclettica, naviga nel suo labirinto creativo di fettuccia e scrittura, lavoro e famiglia, alla ricerca del filo che annodi tutti i suoi interessi.

 

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