L’allergia alimentare è uno dei temi più sentiti dai genitori, proprio perché è una patologia che il pediatra può sospettare relativamente di frequente nel primo anno di vita. E, purtuttavia, non è sempre facile porre diagnosi sicura di allergia alimentare… 

 

Ciò perché viene spesso a mancare la correlazione diretta tra insorgenza dei sintomi ed ingestione dell’alimento in questione, e ciò è in realtà un bene, perché, se da un lato la diagnosi diventa più complessa e talvolta difficile, dall’altro la sintomatologia allergica tardiva non costituisce praticamente mai una problematica a rischio di vita, come –viceversa- può costituire la reazione allergica immediata. In genere il piccolo comincia a manifestare i primi disturbi non dopo pochi minuti o durante l’assunzione dell’alimento, come ci si aspetterebbe, bensì anche alcuni giorni dopo e i sintomi di esordio più comuni sono di solito a carico di cute (dermatite atopica e orticaria), seguiti da quelli gastrointestinali (diarrea, rigurgito e vomito, aumento delle coliche intestinali), ma possono comparire anche sintomi sintomi respiratori (broncospasmo e rinite), più raramente sono coinvolte le mucose (arrossamento delle labbra e della lingua).

 

La dermatite atopica è un’infiammazione caratterizzata da eczema e manifestazioni cutanee caratterizzate da secchezza più spesso a carico delle guance, sotto il padiglione auricolare, sugli arti superiori (in particolare a livello della superfice interna del gomito e sul polso), sugli arti inferiori (in particolare a livello del ginocchio, posteriormente nel cavo popliteo).

 

Ha un andamento temporale di durata capriccioso ed altalenante, ovvero riconosce dei periodi di peggioramento alternati a giorni di miglioramento; in tali periodi sarà compito del pediatra utilizzare, accanto alle eventuali terapie dietetiche, terapie locali sulle lesioni che siano protettive e decongestionanti, cercando di ricorrere il meno possibile alla terapia steroidea per uso topico. L’allergia alimentare più comunemente frequente riguarda il latte vaccino, l’uovo e il grano, ma in realtà esiste un’ampia variabilità individuale soggettiva e si possono riscontrare allergie a diversi altri alimenti.

 

Nel sospetto di un’allergia alimentare da parte dei genitori è opportuno che venga consultato il pediatra di fiducia che segue il piccolo e che farà tutte le valutazioni del caso, non vanno messe in atto diete di eliminazione “fai da te” che confonderebbero al medico poi il quadro clinico e potrebbero comportare problematiche nutrizionali.

 

Nelle prime epoche di vita (ovvero nei primi 12-24 mesi) il percorso diagnostico deve comprendere da subito un’accurata storia dei sintomi ed un’altrettanto visita pediatrica completa. I test di laboratorio da soli infatti non possono identificare o escludere un’allergia alimentare e comprendono i test cutanei (prick-test), gli esami ematici, le diete di esclusione finalizzate alla diagnosi e i test di reintroduzione-scatenamento (cosiddetti “challenge”), questi ultimi da effettuarsi in ambiente medico protetto per il controllo di eventuali –rare! - reazioni gravi.

 

I test cutanei, o skin prick test, prevedono l’introduzione nella cute delle braccia del bimbo di una goccia di estratti di sostanze verso cui potrebbe essere allergico, se in pochi minuti compare un rossore rilevato (pomfo) nella sede della puntura, il test sarà considerato positivo (è indispensabile che il piccolo paziente abbia sospeso l’assunzione eventuale di farmaci antistaminici e cortisonici almeno 10 giorni prima dell’esecuzione di questo test, al fine di evitare di alterarne l’esito).

 

L’eventuale presenza degli anticorpi specifici dell’allergia verso un determinato alimento (le IgE specifiche) viene rilevata attraverso un prelievo di sangue. Tale metodica si può considerare attendibile, ancche se la positività dei test non stabilisce una relazione sicura di causa-effetto tra l’assunzione dell’alimento e la comparsa della reazione allergica. Per tale motivo va instaurata una dieta “diagnostica” di esclusione dell’alimento o degli alimenti sospettati, per periodo variabile da una settimana a un mese per verificare il miglioramento dei sintomi stessi a seguito dell’eliminazione di un determinato cibo. Alla dieta di esclusione diagnostica farà poi seguito il test di reintroduzione dell’alimento incriminato.

 

Tale test va eseguito in ambiente “protetto” sotto la supervisione di personale competente a valutare eventuali reazioni e in grado di intervenire in maniera appropriata qualora queste si manifestassero.

 

 

    

Massimo Agosti, Specialista in Pediatria e Neonatologia

 

Direttore del Dipartimento Materno-Infantile e del reparto di Neonatologia, Terapia intensiva Neonatale e Pediatria dell'Ospedale di Varese

Studi pediatrici:
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