Quando si parla di comportamento aggressivo, si intende un particolare stato d’animo caratterizzato da una serie di azioni che sono rivolte a danneggiare se stessi, gli altri e/o l’ambiente. È tuttora aperta la disputa se sia da considerare un istinto oppure un comportamento che il bambino apprende dall’ambiente in cui vive. D.W. Winnicott, pediatra e psicanalista infantile, scriveva che " l'aggressività fa parte dell'espressione primitiva dell'amore, ed è legata all'oralità del bambino, all'esperienza sia fisica che mentale della fame, al piacere, al nutrimento ed alla sua insoddisfazione, che genera frustrazione, rabbia e ostilità, e desiderio di distruggere proprio l'oggetto di desiderio e di amore".
 
Al di là di questo aspetto, possiamo leggere la reazione aggressiva del bambino con due differenti chiavi di lettura: a) un insieme di comportamenti reattivi a situazioni stressanti/frustranti; b) un modo di affermare la propria personalità e comunicare all’esterno le proprie esigenze/necessità. In ogni caso si tratta di un componente della nostra esistenza. È una pulsione sana e funzionale ai bisogni di crescita del bambino (l’autostima, l’esplorazione, la relazione con gli altri) ma va “educata”, affinché non divenga “distruttiva” anziché “costruttiva”.
 
Ciò che lo può trasformare o meno in un problema percepito come tale dalla famiglia o dagli altri, è la frequenza con la quale si manifesta e/o le conseguenze che determinate azioni possono determinare nella sfera sociale del bambino. Un conto, infatti, è un bambino che reagisce con aggressività ad una situazione particolarmente stressante o frustrante, un conto è invece se questo diviene lo stereotipo di comportamento a fronte di qualunque situazione. In questa seconda ipotesi, è opportuno prestare attenzione. Potrebbe trattarsi di una manifestazione di scarsa autostima, di “un grido d’aiuto” in un contesto familiare troppo preso da “cose da grandi”, di un blocco dello sviluppo evolutivo che non riesce a trovare forme di espressione più mature ed adeguate all’età.
 
In un contesto educativo genitoriale è fondamentale aver presente il concetto che se il bambino capisce che usando la prepotenza può ottenere ciò che vuole, tenderà ad utilizzare sempre tale comportamento. Ciò è purtroppo amplificato da programmi televisivi (film, cartoni) che veicolano diffusamente messaggi aggressivi e violenti, ma anche dalle notizie di cronaca. Tutto ciò premesso, occorre che di fronte a comportamenti aggressivi, vengano messe in atto delle “contromisure” al fine di ricondurre tali comportamenti in un contesto positivo. 
 
Il primo passo è stabilire delle regole, evidenziando che un comportamento aggressivo può far male ad altri bambini, bloccando il piccolo appena ci si rende conto che sta per aggredire un coetaneo, suggerendogli modi di “sfogarsi” accettabili ed esortandolo a rivolgersi a voi quando è molto arrabbiato, esprimendo a parole la sua ira, allontanandolo dalla situazione, fino a quando “non sbolle”. Possono essere previste anche delle punizioni (mandarlo nella propria camera per un periodo di tempo) e non ci si deve preoccupare se può reagire a queste in modo eclatante (pianto, pugni alla porta): piano piano, imparerà a controllare la rabbia.
 
Può essere utile fargli capire, a parole, che ci si rende conto della sua rabbia ma, nel contempo, spiegargli che aggredire e fare del male agli altri è un comportamento da censurare. Insegnargli a discutere è il primo passo per dargli gli strumenti per risolvere le situazioni difficili senza necessariamente ricorrere a comportamenti aggressivi.
 
Ovviamente è fondamentale l’esempio ed il modello fornito dalla famiglia: se si utilizzano maniere forti, il messaggio che viene trasmesso è quello che prevale la legge del più forte e che chi è più prepotente vince. In questi casi (come in molti altri) anche uno scapaccione otterrebbe esattamente l’effetto opposto, mentre una punizione o un castigo aiuterebbero a ragionare sui propri comportamenti e a maturare. Nel contempo, occorre lodare ed eventualmente premiare atteggiamenti corretti e volti ad un confronto non basato sull’aggressività. Dal punto di vista preventivo, oltre a dare l’esempio ed a favorire il dialogo, come già evidenziato, sarà utile valutare con attenzione i programmi televisivi da sottoporre al bambino/ragazzo ed evitare videogiochi particolarmente violenti (sebbene la grande disponibilità di tablet, smartphone e computer, renda ciò decisamente difficile da realizzare in modo efficace).
 
Qualora la situazione evolva o comunque non si risolva con la crescita, è utile consultare il proprio pediatra di fiducia, il quale saprà valutare la situazione in modo professionale ed individuare le possibili soluzioni. È assolutamente controproducente tenere per sé il problema: non aiuta il bambino/ragazzo, non aiuta la famiglia e può condizionare la vita sociale e relazionale futura.

 

 


 

Dr_Domenico_Careddu

Dr. Domenico Careddu

Medico Chirurgo, specialista in Pediatria

Specialista in idrologia medica

Master di II livello in fitoterapia

Master di II livello in neonatologia

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